05 agosto 2009

La pagliuzza e il ramo.

Eugenio Borgna, nel suo ultimo lavoro edito da Feltrinelli Le emozioni ferite, a pag. 40 fa un'affermazione di grande importanza per la comprensione dei campi in cui può operare l'analisi flosofica esistenziale e dove la psichiatria (in questo caso fenomenologica) si attiva.
Beninteso, Borgna pensa che la psichiatria entri subito in gioco. Io penso, al contrario, che venga sottovalutato un passaggio esistenziale, oltre che logico-temporale, che - dopo aver riportato la citazione - andrò a individuare.
"Ogni esperienza psicotica si manifesta, o meglio tende a manifestarsi, nel contesto di situazioni umane di crisi: il passaggio dalla prima alla seconda adolescenza, il distacco dalla casa dei genitori, l'insorgenza, o la dissolvenza, di relazioni affettive, la nascita di un bambino, l'entrata nel vortice di una vita professionale, il conseguimento di una meta ardentemente desiderata e rapidamente svuotatasi di senso, la perdita della patria con la conseguente straziata nostalgia, le infinite figure della separazione con l'angoscia conseguente che è matrice, o simbolo, della kierkegaardiana malattia mortale: nella sua disperazione irredenta e insalvabile. Le umane situazioni di crisi determinano profonde insicurezze in ordine all'immagine di sé, all'identità psichica e fisica, e si accompagnano alla dolorosa esigenza di articolare una nuova orientazione esistenziale: che si fa impossibile... ecc. ecc."
Tutto vero. Ma perchè le sopra citate situazioni devono immediatamente essere considerate situazioni umane di crisi? Perchè, secondo Borgna, è impossibile articolare una nuova orientazione esistenziale?
A mio parere, quelle citate come tutte quelle non citate e/o sottintese sono - prima di tutto - situazioni esistenziali in cui è necessario operare una forma di chiarificazione concettuale, e di conseguenza esistenziale, fino ad arrivare a una prospettiva di ri-orientazione. Quest'ultima è impossibile solo se le situazioni vengono considerate tout court di crisi, cioè se la conseguenza viene usata come connotazione primaria, o se a tale stato sono ormai giunte.
Situazioni come quelle sopra delineate sono, sic et simpliciter, di crisi? Se così fosse, si farebbe un salto non solo interpretativo ma ideologico nella definizione dell'essere umano e delle sue situazioni esistenziali come fondamentalmente "critiche", per non dire "malate".
Può succedere, a mio parere, che tali siano solo se si lascia che quelle situazioni esistenziali, dalle più semplici alle più complesse da maneggiare, siano ontologicamente critiche.
L'analisi filosofica esistenziale può operare su queste situazioni umane ancora non critiche per evitare che critiche diventino.
La sua bussola, messa in mano all'essere umano, diventa strumento di orientazione e ri-orientazione esistenziale.
Bisogna essere "fini" nell'analisi e nel ragionamento per evitare di fare salti pericolosi. Allo stesso tempo, bisogna essere consapevoli che senza questa "finezza" di pensiero il salto diventa inevitabile.