17 novembre 2005

Lettera sull'Umanismo (M. Heidegger)

"Ma l'essenza dell'uomo consiste nel fatto che egli è qualcosa di più che un semplice uomo inteso come essere vivente fornito di ragione. Il "più" non deve essere qui pensato nel senso di un'aggiunta quantitativa, come se la tradizionale definizione dell'uomo dovesse restare la determinazione fondamentale, e subire quindi un ampliamento mediante l'aggiunta della nozione di esistenza. Il "più" significa: più originario e quindi più essenziale nella sua essenza. Ma proprio qui compare l'enigma; l'uomo è nell'essere-gettato; cioè l'uomo come risposta ek-sistente all'essere è più che l'animal rationale, proprio in quanto è meno rispetto all'uomo che si concepisce, a partire dalla soggettività. L'uomo non è il signore dell'essente. L'uomo è il pastore dell'Essere. In questo "meno" l'uomo non ci rimette nulla, anzi ci guadagna, in quanto perviene nella verità dell'Essere. Guadagna l'essenziale povertà del pastore, la cui dignità consiste nell'essere chiamato dallo stesso Essere a guardia della sua verità. Questa chiamata viene con il gettare da cui si origina l'essere-gettato dell'Esserci. L'uomo nella sua essenza storico-ontologica è quell'essente, il cui essere in quanto ek-sistenza consiste nell'abitare nella vicinanza dell'Essere. L'uomo è il vicino dell'essere. Ma - mi vorrete obiettare già da tempo - tale pensiero non pensa appunto l'humanitas dell'homo humanus? Non pensa questa humanitas in un significato così decisivo, come nessuna metafisica ha pensato e mai poteva pensare? Non è esso umanismo nel senso più radicale? Certo. Esso è l'umanismo che pensa l'umanità dell'uomo a partire dalla prossimità dell'Essere. Ma è nello stesso tempo l' "umanismo" in cui è in gioco non l'uomo, ma l'essenza storica dell'uomo nella sua provenienza dalla verità dell'Essere".

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